Afferrami

Estratto “Afferrami” di Margaret Mikki Serie Dangerous Games #1

Tempo stimato di lettura: 9 minuti

 

Eccoci con l’estratto speciale che l’autrice Margaret Mikki ha deciso di condividere con tutti noi in anteprima. Se avete perso il cover reveal, potete trovarlo qui.

AFFERRAMI

CAPITOLO 1

LEI 

L’aria fredda di New York mi pizzica il viso. Avvolta nel mio cappotto di Chanel cammino tra i passanti con il vuoto dentro. Le uniche immagini che mi tornano alla mente ritraggono lui, nient’altro.

L’umidità della sera si fa sentire, ma non m’importa, il mio corpo vuole scaricare la tensione camminando e dimenticando. Svolto l’angolo di Times Square e mi fermo all’istante, i miei occhi cadono prigionieri di una piccola porta sul retro di un locale.

Una luce blu dall’interno incanta i miei occhi e la mia mente e la curiosità s’impadronisce di me. Con passo felpato e occhiate furtive, per assicurarmi che nessuno mi noti entrare dal lato sbagliato del locale, m’infilo all’interno.

La luce che mi ha rapita arriva dal palco. Immobile con gli occhi vitrei guardo affascinata lo spettacolo che si svolge a pochi metri da me. Il locale è buio tranne per le poche luci che arrivano dal bar e dal palco.  

«Mi scusi signorina, non può stare qui. Deve sedersi ai tavoli». 

Con aria smarrita e anche un po’ impaurita guardo l’omone che mi sovrasta con la sua altezza. Con un piccolo sorriso forzato mi sposto dal retro del locale per avviarmi al bar. Stringendomi di più nel mio cappotto come se potesse nascondermi, guardo le persone con aria sfuggente. 

Raggiunto il bar, il barista biondo tutto muscoli mi si avvicina con uno sguardo ammiccante. «Buonasera, signorina. Benvenuta al Dixoy. Cosa posso servirle?».  

«Un gin-tonic, grazie». Quasi stento a riconoscere la mia stessa voce. Ho paura. Mi guardo intorno alla ricerca degli occhi che mi terrorizzano e che mi provocano brividi lungo la schiena. Mi troverà, questo è certo, posso solo sperare che non succeda subito. Ho bisogno di ritornare per qualche giorno alla vita di sempre, parlare con Clara e spiegarle quello che mi è accaduto, o meglio inventarmi una scusa, e spogliarmi da questi panni di ricca donna newyorchese che non mi appartengono. Nulla è più lontano e diverso da quello che sono realmente: una semplice ragazza americana che si è laureata da poco, facendo sforzi disumani e lavorando in uno squallido bar di periferia per far fronte alle spese. 

Bevo il drink tutto d’un fiato. Non amo gli alcolici, ma questa notte ne ho bisogno per scacciare via i pensieri e le paure. Alzo la mano verso il cameriere per ordinarne un altro. Ci andrò giù pensate. Ho capito una cosa in questa settimana di “semi prigionia”: l’alcool allevia i dolori e mette per un po’ a tacere i pensieri. 

Al quarto drink inizio a chiedermi come tornerò a casa. La testa gira e la pelle brucia grazie al calore che mi provoca, nonostante fuori la temperatura sia rigida. Devo cercare di ricompormi per non dare nell’occhio, perché so che i suoi uomini sono già sulle mie tracce. Avrà smosso la sua intera cerchia di fedeli per cercarmi. Non si arrenderà finché non mi riavrà con lui. 

Vado alla toilette e per fortuna non c’è nessuno. Getto il cellulare in uno dei water per non essere rintracciata, poi bagno il collo e i polsi con acqua gelida, cercando di rilassarmi. È difficile. Impossibile. 

Con la coda dell’occhio vedo un’ombra muoversi di fianco a me. La paura sale, il cuore inizia a palpitare forte e l’ansia prende il sopravvento. Alzo lentamente il viso verso lo specchio di fronte a me. Brividi mi corrono lungo la schiena. Non ho dubbi. I miei occhi incontrano i suoi riflessi nello specchio: verdi come pochi, glaciali come nessuno. Raccolgo tutto il coraggio che riesco a trovare e mi giro lentamente, assicurandomi di tenere le mani strette attorno ai fianchi. I miei occhi saettano in cerca di un’uscita, ma invano. Sono nel panico.  

«Buonasera, bambola. Finalmente ti ho trovata. Avevo paura che fossi scappata troppo lontano, ma come al solito le lepri si prendono senza correre». 

Vorrei davvero sputare su quella lurida faccia, ma sono consapevole che anche il minimo passo falso mi metterebbe in pericolo. Rimango in silenzio, con gli occhi puntati nei suoi e con la speranza che prima o poi qualcuno entri nella stanza per approfittarne ed usarlo come diversivo.  

«Non ho nessuna intenzione di tornare in quella topaia assieme a te. Te lo puoi anche scordare». Appoggio le mani al bordo del lavandino nel tentativo di sostenere il mio peso. In queste situazioni vorrei davvero conoscere qualche mossa di karate, potrei metterlo al tappeto senza che nemmeno se ne accorga.  

«D’accordo bambolina, non ho intenzione di scalfire il tuo bel faccino e spero che tu sia così intelligente da non farmi arrabbiare». 

La musica spinge contro le pareti come se stesse tentando di smontarle, ma l’unico rumore che riesco a percepire è il martellio del mio cuore. La sola strategia che conosco per difendermi e togliermi da questa brutta situazione è l’attacco. Mi avvicino molto lentamente all’uomo viscido che mi trovo di fronte, facendo ticchettare i tacchi e muovendo i fianchi in modo sensuale. Gli accarezzo il braccio coperto, salendo sino al petto e poi su per la gola. Avvicino la mia bocca al suo viso, con molta cautela, e gli lascio un bacio bagnato sul lobo destro.  

«Non hai davvero pensato che volessi lasciarti in balia di quelle streghe, vero?», gli sussurro all’orecchio nel modo più sensuale che conosco. Per mia fortuna non è così furbo ed abbocca all’amo come farebbe un bambino con un cioccolatino. 

La porta del bagno si apre di colpo e sbatte contro il muro bianco, facendo cadere dei pezzi d’intonaco. Entrambi sussultiamo per il rumore inaspettato e Jack mi stringe il braccio così forte che ho paura voglia staccarmelo.  

«Non mi freghi, bambolina». Mi strattona verso l’uscita e per poco non cado addosso ad un uomo che nell’esatto momento in cui incrocia il mio sguardo sembra accorgersi di ciò che sta accadendo. Dopotutto, forse la fortuna è dalla mia parte. 

afferrami

LUI 

La puzza di muffa che si sente nella stanza mi irrita. Non sopporto questo ufficio del cazzo e non sopporto questo demente che stasera mi sta rompendo i coglioni con l’ennesima ramanzina.

La musica del locale rende l’atmosfera ancora più tesa. «Cosa pensi di fare con lei?». Non sono cazzi che gli riguardano! Josy deve restare qui sotto il mio controllo anche se questo vuol dire che dei maniaci mentali la guardano mentre fa vedere il suo corpo splendido. Qui posso tenerla al sicuro, lì fuori no.  

«Non penso di fare un bel niente. Josy è maggiorenne, se ha deciso che vuole fare questo non sarò di certo io a farle cambiare idea». Faccio finta che la decisione sia sua, Will penserebbe che sono fuori di testa se sapesse che sono io che le ho chiesto di farlo. Con gli occhi quasi fuori dalle orbite mi guarda confuso e con rabbia.  

«Cosa cazzo dici, Neeyd. Tua sorella mostra le chiappe a dei pervertiti che Dio solo sa cosa passa in quella mente depravata e tu te ne esci dicendo che non pensi di fare niente? Dov’è finito il tuo buon senso, amico?». 

Respira velocemente. È talmente agitato che si alza con uno scatto sbattendo la mano sulla scrivania di mogano. Si avvicina con aria minacciosa al mio viso.  

«No! Non ti permetterò di trascinare lei in questa merda. Non merita una vita da parassita, soprattutto non merita questa vita che le sta facendo fare suo fratello». 

Mi alzo anche io, imbestialito, e lo spingo con forza sulla sedia.  

«Will, tu non sai un cazzo!». Sbotto, non ce la faccio a trattenermi. Devo parlarne almeno con lui o impazzirò.  

«Josy si è immischiata in affari più grandi di me e te messi insieme. E non mi viene una fottuta idea per tirarla fuori». Giro per la stanza esasperato, mi avvicino al mobiletto dei liquori e mi verso uno scotch, sperando che allenti un po’ questa tensione. «Non voglio che Josy balli qui al locale, ma è l’unico luogo in cui posso tenerla d’occhio. Non vuole dirmi con che razza di gente si è messa nei guai. Posso solo supporre e tutto questo mi provoca confusione e tanta rabbia». 

Will rimane con gli occhi spalancati, incredulo, cercando di digerire ciò che gli ho appena detto. 

«Vado di là a darle un’occhiata, torno subito». 

Esco da quest’ufficio soffocante e vado al bagno, ho bisogno di sciacquare via la tristezza dal mio viso. 

All’interno della stanza m’imbatto in un uomo e una donna. La situazione non mi piace. Gli occhi color cioccolato della ragazza mi guardano sofferenti e il mio sguardo si posa sulla stretta possente dell’uomo su di lei.  

«Che succede qui?».

«Sto aiutando la mia signora, amico. Non è vero, Roxanne?». 

La ragazza sembra di fronte ad un bivio ed entrambe le strade la terrorizzano. Ha bisogno d’aiuto.  

«Non conosco questo tipo. Mi sta pedinano da tutta la sera». 

La stretta sulla ragazza aumenta e prima che me ne renda conto tolgo le luride mani di quell’essere meschino dalla pelle candida della donna. L’uomo mi spinge contro la parete e subito torna con le mani sulle braccia esili della ragazza. Senza pensarci due volte lo giro con forza verso di me e lo afferro per il colletto, sollevandolo di qualche centimetro dal pavimento.  

«Se solo la sfiori di nuovo stai certo che ti uccido». Non so da dove mi siano uscite queste parole. Inspiegabilmente sento di dover proteggere questa sconosciuta.  

«Amico, tu non sai in che guaio ti stai cacciando». L’uomo mi lancia un avvertimento che fingo di non ascoltare.  

«Nemmeno tu immagini in cosa ti stai cacciando venendo nel mio locale ad importunare una mia amica».  

«Una tua amica», ripete quasi sconvolto.  

«Adesso vattene prima che ti spacchi la faccia». Senza un secondo di esitazione va’ via, senza voltarsi indietro. Quasi come se mi fosse tornata in mente all’improvviso, mi volto verso la donna impaurita, piegata in un angolo. Mi avvicino a lei e le scosto i capelli dal viso, scoprendo dei lineamenti perfetti e gli occhi profondi color terra colmi di lacrime.  

«Va tutto bene», dico rassicurandola, mentre le accarezzo la guancia catturando qualche lacrima silenziosa. Con mia grande sorpresa mi ritrovo stretto in un abbraccio, che vuole essere un ringraziamento o più probabilmente un modo per riprendere il controllo. 

Riconoscerei una ragazza sola tra mille volti diversi e questa sconosciuta che piange come una dolce bambina sulla mia spalla è di sicuro sola nel combattere le sue battaglie. Qualcosa mi spinge a ricambiare quella stretta, forse il fatto che a tratti mi ricorda mia sorella. Non riesco a sciogliere questo momento, sento il bisogno di dimostrarle che non è sola, che può contare su qualcuno ora. Può contare su di me. È  una sconosciuta, ma sento di doverla aiutare. Il mio cuore di ghiaccio mi ripete che non posso abbandonarla. 

Lentamente la sollevo tra le mie braccia e percorro il corridoio che porta al mio ufficio con il suo viso nascosto tra la mia spalla e il collo. Vorrei accarezzarla, sfiorarle i capelli, baciare quella bocca umida. Con una scrollata elimino l’ultimo pensiero inopportuno, prima di entrare nella stanza e stenderla delicatamente sul divano di pelle nera. Noto che Will è andato via. Verso due bicchieri di whiskey e ne porgo uno alla ragazza che accetta senza esitare. 

Faccio attenzione a non distogliere lo sguardo da quei due abissi che mi fissano. Occhi negli occhi buttiamo giù nello stesso istante il liquido che ci invade la gola, bruciando. Prendo il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei miei jeans, ne offro una alla ragazza che rifiuta con un gesto del capo. Inspiro profondamente quel fumo che riesce in qualche modo a tranquillizzarmi, mentre mi volto verso la finestra alle mie spalle. Guardare il cielo di notte mi ha sempre regalato un senso di pace. Non voglio metterle pressione e chiederle cosa volesse quell’uomo da lei. Sono sicuro che lo conosca benissimo. Dai suoi occhi tormentati potrei leggere la sua storia, ma voglio che sia lei a raccontarmela. 

«Immagino che tu sia Roxanne, giusto?». I miei occhi rimangono fissi verso il cielo scuro. Non voglio metterla in soggezione o spaventarla ulteriormente.  

«Sì. Per gli amici Roxxi». 

Il suo tono flebile mi arriva direttamente al cuore, facendomi vibrare tutto il corpo. Non pensavo che un essere umano potesse avere una voce così suadente.   

«Conoscevi quell’uomo?». Se è davvero intelligente come sembra non mi dirà mai la verità.  «No, mi ha importunata mentre ero al bagno. Voleva che lo seguissi». Brava bambina.  

«Ti puoi fidare di me. Io sono il proprietario di questo bordello e devo sapere che genere di gente vi mette piede. Se mi assicuri che è un pazzo maniaco, non aspetterò un secondo a comunicare ai miei dipendenti che deve essere bandito». 

Mi giro verso di lei e noto la sua espressione impassibile. Abbiamo una leonessa qui, a quanto pare. Un sospiro le scappa dalla bocca semichiusa e il mio basso ventre freme. Che diavolo mi succede?  

«Ti consiglio di non immischiarti in faccende che sono più grandi di te». La mascella contratta ed il tono di voce amaro mi suggeriscono tutto ciò che non vuole dirmi. Vuole fingersi forte, ma è sin troppo vulnerabile. 

«Tesoro, credimi, io sono ciò da cui le persone scappano. Io sono ciò che chiamano “roba grossa”. Non ho paura di qualche tirapiedi che usa le donne come se fossero degli oggetti». 

Un sorrisetto beffardo le incornicia il volto. Mi sta prendendo in giro. Così non va bene piccola, non va bene.  

«E allora le ballerine mezze nude che si stanno muovendo sul palco? Non è anche quello trattare le donne come oggetti?». 

Questo non lo accetto. Mi avvicino a lei e le riempio di nuovo il bicchiere. Prima di rispondere prendo tempo, assaporando la tensione che aleggia nell’aria. Prendo un’altra sigaretta e aspiro avidamente il fumo. Sotto le mie mani quella ragazzina disobbediente sarebbe già stata punita.  

«Non sai di che cosa parli. Io ho salvato queste ragazze da un futuro che nemmeno ti immagini. L’hanno deciso loro, te l’assicuro, quindi non paragonarmi più a quel pezzo di merda». Sospira di nuovo. Forse si sta sciogliendo.  

«D’accordo. Allora sappi che non ti conviene farlo entrare di nuovo qui dentro, altrimenti potrebbe finire molto peggio con qualche altra ragazza». Lo sapevo.  

«Perfetto, grazie. Tu dove l’hai conosciuto? Mi sembri una brava ragazza». E che ha sofferto più di quanto vuole far credere. 

Non risponde subito, ma con lo sguardo segue ogni mia mossa. Devo ammettere che se l’avesse fatto qualsiasi altra persona mi avrebbe infastidito, ma i suoi occhi su di me riescono solo a scaldarmi di più.  

«Non sono affari tuoi. Ora devo andare. Grazie per quello che hai fatto prima». Si sta alzando. No, non può andarsene.  

«Hai un posto dove stare?», la blocco, stringendole un gomito. Lei guarda prima la mia mano stretta su di lei, poi me. Se non fossi in un luogo a me così familiare, giurerei di essermi perso.  

«Non ti preoccupare, so cavarmela da sola». 

Non faccio in tempo a fermarla di nuovo che è già fuori dal mio ufficio. Cazzo. Questa ragazza sarà il mio incubo. Esco come una furia dall’ufficio e vado nell’ufficio di Dylan. Voglio assolutamente che faccia una ricerca su di lei. Devo ritrovarla. Devo scoprire chi è e da dove viene. E quando io voglio qualcosa, la ottengo sempre. 

Facebook: https://www.facebook.com/MargaretMikkiAutrice/

Margaret Mikki

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