“La sfera magica – Capitolo sei” di Elena Ungini – Aspettando il Natale…

Tempo stimato di lettura: 6 minuti

Capitolo sei del racconto lungo di Elena Ungini “La sfera magica”.
Se avete perso i primi cinque appuntamenti potete trovarli qui:

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Buona lettura!

LA SFERA MAGICA

CAPITOLO SEI

“D’accordo, che dobbiamo fare?”

“Ti farò degli indovinelli. Dovrai rispondermi. Cominciamo con qualcosa di semplice: “Chi semina vento raccoglie…”

“Tempesta”.

“Gallina vecchia fa…”

“Buon brodo”.

“Rosso di sera…”

“Bel tempo si spera”.

“Il diavolo fa le pentole…”

“Ma non i coperchi”.

“Okay, con i proverbi te la cavi bene. Ora proviamo qualcos’altro: scende, ma non sale mai”.

“La pioggia”, rispose lui, dopo averci pensato un attimo.

“Ha le foglie, ma non è un albero, ha la barba, ma non è un uomo, ha le canne, ma non è un fucile. Che cos’è?”

Daniel rimase a pensarci per un po’, spaesato.

“Attento, Daniel. Il tempo a tua disposizione sta per scadere”, sogghignò la vecchia, facendolo agitare ancora di più. Improvvisamente Greta gli tirò la manica, cercando di non farsi notare dalla vecchia. Il ragazzo la fissò. Lei disse qualcosa in albanese, sottovoce.

“Granoturco!”, esclamò Daniel, ripetendo quello che aveva detto Greta.

La vecchia cominciò a dare segni di nervosismo.

“Si nasconde nella notte, si rischiara al mattino, sparisce durante il giorno. Cos’è?”

“L’aurora”, rispose sicuro Daniel.

“Se parli, si rompe! Cos’è?”

“Il silenzio”.

La vecchia ebbe un moto di stizza. Daniel aveva risposto a tutti i suoi indovinelli, lei ora doveva rispondere a una sua domanda.

“Adesso tocca a te, vecchia!”, sputò fuori Daniel, in tono dispregiativo.

“Aspetta”, lo fermò lei.

“Seguitemi. C’è qualcosa che dovete vedere, prima”.

Li portò in una stanzetta angusta, scarsamente illuminata e completamente vuota. Greta strinse la mano di Daniel, preoccupata, mentre Cronch si guardava intorno torvo e sospettoso, annusando l’aria, già pronto a far scattare i suoi terribili artigli.

“Perché ci hai portato qui?”

Con un gesto della mano, la vecchia fece apparire sui muri della stanza alcune immagini, che presero a scorrere come un film. I bambini le guardarono, stupiti. 

Daniel sentì un nodo stringergli lo stomaco: quelli che comparivano fugaci sulla parete erano i volti sorridenti di sua madre e dei suoi fratelli. Le lacrime gli salirono agli occhi.

“Mamma…”, sussurrò.

Anche Greta stava vedendo delle immagini, ma le sue erano ovviamente diverse: vedeva i suoi amici più cari, che ora aveva perso, e i genitori morti quando lei era ancora in tenerissima età.

Ammutolito davanti alle immagini, Daniel non riusciva a staccare gli occhi dal muro. Rimase lì per un lunghissimo istante, sperando quasi di poter attraversare quel muro e scomparire fra le braccia di sua madre. Poi, finalmente, si scosse.

“Non guardare, Greta, Sta cercando di confonderci. Alia ci aveva avvertito”.

Greta si asciugò le lacrime e strinse ancora più forte la mano di Daniel, cercando di distogliere lo sguardo da quelle immagini dolorose.

“Che cosa vuoi dimostrare, con questo?”, chiese Daniel, sfidandola.

“Guarda ancora”.

“Non voglio guardare!”, urlò.

“Non vuoi nemmeno vedere tuo padre? Non vuoi sapere dov’è, ora?” 

Lasciò che la frase facesse il suo effetto, stordendo il ragazzo.

“Mio padre è morto!”, urlò.

“No. Ti sbagli”. 

Le immagini sul muro cambiarono e Daniel non poté fare a meno di guardare. Il volto di suo padre apparve sorridente e tranquillo. Poi l’immagine s’ingrandì e comparve l’interno di una stanza arredata poveramente. Suo padre era seduto su un letto, accanto a un tavolino di legno, su cui stavano appoggiati una bottiglia e un bicchiere. Una donna entrò nella stanza e accomodò una coperta sulle spalle dell’uomo, che le sorrise, poi lei mise sul tavolo delle mele e un paio di panini. L’immagine svanì improvvisamente.

“Quello non può essere lui!”, s’infuriò Daniel.

“È una finzione!”, urlò.

“No. Non lo è. Lui si trova altrove, Daniel. Sta vivendo la sua vita, lontano da voi”, sibilò sorniona la vecchia, sorridendo beffardamente.

“Non è vero!”

“Lo hai visto con i tuoi occhi. Ora dimmi, Daniel. Sei ancora sicuro di voler sapere dove vanno a finire i sogni altrui? Non vuoi forse sapere dove si trova tuo padre?”, insinuò ancora lei.

Daniel ristette un momento. Avrebbe potuto chiederle dove si trovava suo padre. Sarebbe potuto andare da lui e convincerlo a tornare dalla mamma e dai suoi fratelli. I suoi problemi sarebbero finiti. Finiti per sempre.

Bastava solo una piccola domanda e avrebbe rivisto davvero suo padre. Oppure no? Forse la vecchia lo stava prendendo in giro… forse voleva fargli sprecare così la sua unica possibilità di chiederle qualcosa… Alia lo aveva avvertito di stare attento: la strega avrebbe cercato di confonderlo, e ci stava riuscendo benissimo, a quanto pareva. 

“Ricorda: una sola domanda”, gongolò lei, sorridendo malignamente.

Daniel sentì montare la rabbia dentro di sé: se avesse potuto, avrebbe preso a schiaffi quella donna così maligna, che lo costringeva a una scelta tanto difficile. Ma non era per questo che era lì: aveva giurato ad Alia di aiutarla e lo avrebbe fatto. Prima di tornare preda dei suoi dubbi e delle sue frustrazioni, finalmente, urlò:

“Dimmi chi è che ruba i ricordi”. 

Ora era la vecchia a essere arrabbiata. 

“Non era questa la domanda che mi aspettavo da te”, sibilò.

“Avevamo fatto un patto. O mi vieni a dire che non sei neppure di parola!”

“Michele Menga. Via Beisolchi, numero 14. Brescia. È lui che ruba i ricordi”, sussurrò la vecchia, quasi impercettibilmente. Ma le sue parole si scrissero su un foglio, che passò a Daniel, sconfitta.

Ecco. Ora lui sapeva. Sapeva chi rubava i ricordi. Sempre ammesso che la vecchia non lo avesse buggerato. Aveva risolto il dilemma, ma non avrebbe mai saputo dove si trovava suo padre. In silenzio, fece cenno a Greta e Cronch di seguirlo. Salì sulla slitta e ripresero il viaggio di ritorno. Aveva smesso di nevicare e le renne sembravano volare sulla neve. La notte aveva ormai preso possesso delle terre fatate di Memoryland. Il gatto tossicchiò, per attirare l’attenzione.

“Che c’è?”, chiese Daniel, seccato.

“C’è che tu sei il custode dei ricordi. Non è sufficiente che tu abbia scoperto chi li ruba… egli continua a sottrarli e la regina non può certo scendere sulla Terra a recuperarli, non credi?”

“E cosa dovrei fare? Andarci io?”

“Be’… mi sembra ovvio”.

“Ma come faccio a…” 

Poi ricordò la sfera magica e quello che aveva detto la principessa: “Ti basterà girare di nuovo quella sfera, per tornare a casa”.

Daniel estrasse la sfera dalla tasca e la fissò perplesso.

“Credi che sia abbastanza potente da portarci tutti e tre, con la slitta?”, chiese.

“Perché non ci provi?”, lo apostrofò il gatto, sornione.

L’immagine della città di Brescia era lì, nella sua mano, al di là del vetro. La neve era ferma, gli alberi e i caseggiati si potevano osservare molto attentamente, nei minimi particolari. Erano la perfetta miniatura di quelli realmente esistenti: Daniel li aveva guardati molte volte, mentre chiedeva l’elemosina, seduto davanti a quei palazzi.

Senza più esitare, il bambino capovolse la sfera e, di lì a pochi secondi, una luce abbagliante li avvolse e un vento freddo li costrinse ad aggrapparsi forte alla slitta. Quando riaprirono gli occhi, si trovarono a Brescia, ancora sul loro strano mezzo di locomozione. Daniel si affrettò a coprire il gatto con una coperta.

“Non hanno mai visto gatti verdi, qui. Ti consiglio anche di non parlare, se non vuoi cacciarci nei guai”.

“Credi che la slitta darà molto nell’occhio?”, chiese il gatto.

“No… solo come un orso polare in un salotto”, rispose ironicamente Daniel.

“Forse è meglio andare a piedi, allora”, suggerì Greta.

“No. Dobbiamo fare presto”.

Daniel prese a guidare la slitta attraverso le vie di Brescia, per raggiungere via Beisolchi, in periferia.

Dopo circa mezz’ora trovarono la via. In quanto al numero, la cosa si fece un po’ più problematica fin da subito: le case sembravano esaurirsi al numero 13.

“Il numero 14 deve essere per forza dall’altro lato della strada”, commentò Daniel, davanti alla casa che portava il numero 13.

“Già, ma di là non c’è niente: nessuna casa, solo colline a perdita d’occhio”.

“Andiamo avanti lungo la strada. Lo troveremo”, rispose risoluto Daniel.

La slitta scivolava veloce sulla neve fresca, senza alcuna difficoltà. Dopo circa un quarto d’ora di cammino, Daniel notò una fioca luce sul fianco della collina.

“Ecco, ci siamo! Scommetto che quello è il numero 14”.

S’inerpicarono su per la stradina che saliva sul fianco della collina e giunsero a una grande casa signorile, circondata da un maestoso parco. Un grande cancello e una muraglia chiudevano loro la via.

“Ecco… qui deve abitare questo signor Michele Menga”. 

“Ma ora come facciamo a entrare? E, una volta dentro, che facciamo?” 

Il faccino rotondo di Greta era stanco e preoccupato.

“Dobbiamo trovare Michele, seguirlo, e scoprire dove tiene i ricordi. Poi li libereremo, quando lui non può vederci”, propose Daniel.

Incominciarono a camminare intorno alla recinzione, cercando un punto per entrare. Sul retro della casa, al posto della muraglia, c’era una rete di ferro.

“Lasciate fare a me”, disse improvvisamente il gatto, che fino a quel momento era stato zitto.

Fece scattare uno dei suoi artigli retrattili e con quello tagliò la rete come fosse di burro.

“Accidenti!”, esclamò Daniel, sorpreso.

“Forza, entriamo”. I tre scivolarono dentro, favoriti dalle tenebre che ormai erano calate. Le finestre al pianterreno erano illuminate. Dovevano stare attenti a non farsi scoprire. In silenzio, strisciarono dietro alcuni cespugli sempreverdi coperti di neve, cercando di raggiungere il muro della casa. Un furioso latrare di cani li fece sobbalzare, facendo capire loro che passare inosservati sarebbe stata un’impresa impossibile.

“Ci penso io”, disse ancora Cronch. Quando i due enormi labrador giunsero al loro cospetto, il gatto sfoderò tutte e dieci le sue unghie e si gonfiò talmente tanto da sembrare addirittura un grosso orso. I cani guairono spaventati e se la filarono a gambe levate.

“Stupendo, Cronch!”, si complimentò Greta, grattandogli un orecchio, mentre il gatto tornava alle dimensioni normali.

Qualcuno, nella casa, accese la luce del cortile e guardò fuori. Daniel, Greta e Cronch fecero appena in tempo a nascondersi dietro alcuni cespugli sempreverdi.

“Speriamo che non ci abbiano visti”, sussurrò Greta.

Elena Ungini

Le fiamme di Pompei

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