“La sfera magica – Capitolo sette” di Elena Ungini – Aspettando il Natale…

Tempo stimato di lettura: 6 minuti

Capitolo sette del racconto lungo di Elena Ungini “La sfera magica”.
Se avete perso i primi sei appuntamenti potete trovarli qui:

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Buona lettura!

LA SFERA MAGICA

CAPITOLO SETTE

Poco dopo, la luce si spense e i tre, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, presero a strisciare nell’oscurità, raggiungendo il muro della casa. Da lì potevano sbirciare attraverso le finestre.

“Michele! Michele, vieni subito qua!”

La voce che aveva parlato era di una donna e proveniva dalla casa.

“Ecco. Ci siamo. È lui. È il nostro uomo”, sussurrò Daniel. Si sollevò un poco, per guardare all’interno della grande casa. Nella stanza riccamente arredata c’era una donna alta e secca, dall’aspetto poco socievole. Poco dopo, Michele fece il suo ingresso da una porta laterale, accompagnato da un grosso pastore tedesco.

“Ma è un bambino!”, esclamò Daniel, stupito.

“Cosa?” 

Anche Greta prese a guardare dalla finestra, imitata dal gatto. Un bambino all’incirca sui dieci anni, biondo, pallido e magro camminava lentamente, affidandosi al cane che teneva al guinzaglio. Daniel riconobbe la fascia che l’animale portava addosso: era un accompagnatore per ciechi.

“È ora di andare a letto”, ordinò la donna, incrociando le braccia sul petto.

“Solo un altro po’, ti prego”, la supplicò il bambino.

“Che vuoi fare, guardare la televisione, per caso?”, rise sarcastica la donna.

“Brutta befana! Prendere in giro un bambino cieco!”, esclamò Daniel, stringendo i pugni, furioso.

“Ma come può essere lui la persona che cerchiamo? La strega ci ha presi in giro!”, esclamò Greta.

“Aspetta, vediamo che succede”.

Michele si asciugò una lacrima, l’ennesima, probabilmente. Poi sussurrò, rivolto alla donna:

“Voglio solo andare nella stanza di là. Solo dieci minuti, ti prego”.

“Cinque minuti”, rettificò lei “non un secondo di più. Poi te ne andrai a letto di filato”. 

E se ne andò borbottando e inveendo contro il bambino, che entrò nella stanza accanto, chiuse a chiave la porta e accese la luce, più per il cane che per se stesso, evidentemente.

Daniel, Greta e Cronch si spostarono alla finestra di fianco e ripresero a guardare all’interno. Nella stanza c’erano moltissime gabbiette vuote. Michele ne aprì una e fece il gesto di estrarre qualcosa, ma non aveva nulla in mano. Tenne quella cosa invisibile stretta fra le mani, e la accarezzò, dolcemente, mentre le lacrime gli scorrevano sulle guance.

“Ecco dove tiene i ricordi! All’interno di quelle gabbiette!”, esclamò Daniel.

Il cane evidentemente lo sentì, perché si avvicinò alla finestra e cominciò ad abbaiare.

“Che c’è, Wolf?”, chiese Michele.

L’animale si calmò, ma Daniel decise che era ormai tempo di agire. Picchiettò alla finestra, per attirare l’attenzione del bambino.

“Che succede?”, chiese ancora Michele. Si spostò piano fino alla finestra, mentre il cane riprendeva ad abbaiare.

“Apri, Michele, ti devo parlare”.

Il bambino aprì la finestra, stupito.

“Chi sei? Come sai il mio nome?”

“Mi chiamo Daniel, e sono il custode dei ricordi che tu hai rubato, e che ora tieni prigionieri in quelle gabbie”.

Il bambino impallidì ancora di più.

“Non sapevo che fossero custoditi da qualcuno”, balbettò, spaventato.

“Perché rubi i ricordi?”, gli chiese Daniel, pazientemente.

“Tempo fa, quando ero molto piccolo, ho avuto un incidente d’auto. Mia madre è morta e io sono diventato cieco. Da allora non vedo più nulla e non ho alcun ricordo di quanto mi è accaduto prima dell’incidente. Non ricordo neppure la mia mamma. Mio padre ha ripreso a viaggiare per lavoro, e ha assunto questa governante per me, ma lei mi odia a morte e io rimango tutto il giorno chiuso in casa con questa donna perfida, e con un maestro che non fa altro che darmi bacchettate sulle mani. Dopo l’incidente, mi sono sentito terribilmente solo e triste, finché, un giorno, ho cominciato a vedere questi strani veli volare intorno a me. Ne vedevo uno ogni tanto e all’inizio ho pensato che mi stesse tornando la vista. Ma non era così. Quest’autunno, però, uno di questi strani veli rosa mi ha sfiorato, e ho scoperto che era un ricordo bellissimo. Così ho cominciato ad afferrarli e a imprigionarli, ogni volta che ne vedevo uno. Ho compreso ben presto che i veli neri erano ricordi brutti, e quelli li ho lasciati andare. Non ne ho certo bisogno. I ricordi belli, invece, li tengo chiusi qui e ogni tanto li accarezzo, e così faccio miei questi ricordi meravigliosi”.

Greta e Daniel si guardarono, stupiti e intristiti dal racconto del ragazzino. Daniel, sospirando, si rivolse ancora a Michele:

“Questi ricordi non sono tuoi, Michele. Tu non hai idea dei guai che potresti causare, rubandoli. Devi restituirli ai loro legittimi proprietari. È per questo che sono qui”.

“No! Non puoi chiedermi questo”. Michele fissava il vuoto davanti a sé, i grandi occhi azzurri e spenti ricolmi di lacrime.

“Ascolta, Michele… non puoi vivere sempre legato ai ricordi di altre persone. Devi averne di tuoi. È importante”.

“Ma come posso fare?”, chiese, disperato.

“Noi possiamo aiutarti. Tanto per cominciare, potresti diventare nostro amico. Che ne diresti di un bel giretto per Brescia, sulla nostra slitta? Sarebbe una bella esperienza da ricordare, non credi?”

“Voi avete una slitta?”, chiese Michele, titubante. Non sapeva se credergli o meno.

“Avanti, vieni”. Daniel lo aiutò a uscire dalla finestra e insieme raggiunsero la slitta, dove Cronch li aspettava sornione.

“Dov’eri finito?”, chiese Daniel, che s’era accorto da poco dell’assenza del gatto, scivolato via senza farsi sentire da nessuno.

“Ho fatto un piccolo incantesimo a quella strega della governante: dormirà per un bel pezzo e quando si sveglierà sarà docile come un agnellino. Non ti sgriderà mai più, Michele”.

“Davvero? Non lo dite solo per convincermi?”

“Di lui ti puoi fidare, Michele. È un gatto eccezionale”.

“Un gatto? È un gatto che ha parlato?”

“Sì, ma ora sali, dobbiamo fare presto”. Montarono sulla slitta e presero posto.

“Non ci credo. Mi state prendendo in giro”. Cronch gli saltò in braccio e iniziò a fare le fusa. Poi parlò:

“Sono un gatto parlante. Accarezzami, se vuoi”.

Il bambino era ancora incredulo, ma qualcosa, nei suoi nuovi amici, lo spronava a credergli, a dargli fiducia. Poco dopo sfrecciavano sulla via che li riportava fino a Brescia centro.

“È fantastico!”, esclamò Michele, con il vento nei capelli, ritrovando un po’ di allegria.

Percorsero le strade della città, correndo velocissimi, mentre Michele rideva felice. Quando giunsero in centro, Daniel rallentò per paura di investire qualche passante. Tutti quelli che incontravano per strada si voltavano a guardarli e i commenti si sprecavano.

“Non sanno più cosa inventare per fare pubblicità”, sbottò una donna, rivolta all’uomo che le stava a fianco.

“Ora anche le renne di Babbo Natale!”, esclamò una vecchietta alzando le mani al cielo.

“Guarda mamma! La slitta di Babbo Natale! Te l’avevo detto io, che esisteva davvero!”, urlò un bimbetto saltellando tutto felice.

“E quel gatto? Quel gatto verde? Lo hanno colorato! Dovrebbero vergognarsi!”, commentò una donna.

“Daniel!” 

Una voce familiare sovrastò il chiacchiericcio della folla e Daniel si guardò intorno, per vedere chi l’aveva chiamato. All’angolo di una strada secondaria notò una figura incappucciata, che faceva grandi segni con le mani. Daniel riconobbe uno dei ragazzi che, come lui, vivevano nella vecchia fabbrica abbandonata ed erano costretti a guadagnarsi da vivere rubacchiando e chiedendo l’elemosina. Si avvicinò al giovane e fermò la slitta.

“Mirko, che ci fai in giro a quest’ora? Non mi dirai che non hai ancora raccolto soldi a sufficienza?”

“Ma come? Non lo sai? La polizia ha avuto una soffiata: hanno portato in galera Vastano, Carlo, Rodolfo e tutti quelli della banda. Gli altri ragazzi sono stati portati nei centri di accoglienza. Io e Greg, invece, siamo riusciti a fuggire. Non vogliamo tornare in Albania. Mille volte meglio restare qui, e vivere da accattoni per il resto della nostra vita. Ma tu, piuttosto, che hai fatto? Hai vinto alla lotteria?”

“Lascia perdere… non ho tempo per spiegarti, ora. Devo andare. Buona fortuna”.

“Anche a te”, rispose confuso l’amico.

Daniel riportò la slitta nel vicolo buio dove la vecchia gli aveva donato la sfera e lì si fermò.

“Che fai?”, chiese Greta.

“Mi è venuta un’idea”, spiegò lui, togliendo di tasca la sfera. La voltò di nuovo e la forte luce abbagliante li avvolse.

“Che succede?”, urlò Michele, spaventato, sentendo il forte vento che lo sollevava da terra con tutta la slitta.

“Non aver paura, va tutto bene”, urlò Daniel per sovrastare il frastuono. Pochi secondi dopo si ritrovarono a Memoryland, davanti alla baita con i tre abeti. Lasciarono la slitta e raggiunsero a piedi l’abitazione. Quando entrarono, la principessa li attendeva, trepidante.

“Bravi ragazzi! Abbiamo seguito la vostra avventura nel cristallo magico. Avete finalmente trovato colui che ruba i ricordi”.

“Io non volevo far male a nessuno…”, sussurrò Michele, sentendosi improvvisamente un verme.

“Non preoccuparti, Michele: per ora non è successo nulla di irreparabile. Ma devi promettere che una volta tornato a casa libererai tutti i ricordi”.

“Lo prometto”, rispose solennemente lui.

“Alia, c’è una cosa che voglio chiederti…”, cominciò Daniel.

“Hai detto che qui sono custoditi tutti i ricordi delle persone… ci sono anche quelli dimenticati?”

“Certo! Li teniamo in un archivio a parte. Vedi Daniel…”, disse, prendendo per mano Michele e facendo segno agli altri bambini di seguirla.

“A volte le persone ricordano improvvisamente cose che avevano dimenticato. Per questo dobbiamo conservare con cura ogni ricordo, anche quelli più lontani e confusi”.

Raggiunsero una nuova stanza, con tantissimi cassetti colorati. Sopra di essi campeggiava la scritta: “Archivio ricordi dimenticati”.

“Quindi, qui ci sono anche i ricordi di Michele”.

“Certo. Aspetta, ora li cerchiamo”. Cominciò a scorrere i cassetti, finché giunse a uno con scritto “Michele Menga”.

“Eccoli qui”.

“Puoi estrarli, per favore?”, chiese Daniel.

La principessa cercò di aprire il cassetto, ma non ci riuscì.

“Non posso, Daniel. È come se fosse chiuso a chiave. È Michele che tiene chiuso questo cassetto: solo lui può aprirlo”.

Daniel accompagnò Michele davanti al cassetto e gli sussurrò:

“Coraggio, aprilo. Ci sono tutti i tuoi ricordi, lì dentro”.

Michele appoggiò la mano sull’impugnatura del cassetto e tirò, ma questo continuava a stare chiuso.

“Evidentemente c’è qualcosa che ti spaventa, lì dentro: forse l’incidente che hai avuto. Fatti coraggio, Michele. Potrai aprire il cassetto solo se lo vorrai veramente. Ma se continuerai ad avere paura e non desidererai aprirlo, rimarrà chiuso per sempre”, spiegò la principessa.

“Pensa a tua madre… pensa al suo volto! A come sarebbe bello se tu potessi ricordartelo”, lo incoraggiò Daniel.

Elena Ungini

Le fiamme di Pompei

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