“La sfera magica – Capitolo otto” di Elena Ungini – Aspettando il Natale…

Tempo stimato di lettura: 7 minuti

Siamo giunti all’ultimo capitolo del racconto lungo “La sfera Magica” di Elena Ungini.

Questa esperienza ci ha accompagnati fino al Natale dandoci l’opportunità di leggere un racconto magico che fa sognare grandi e piccoli.

Vogliamo ringraziare Elena Ungini per averci permesso di fare parte di questa bella esperienza e speriamo voglia tornare a trovarci presto.

Godetevi l’ultimo capitolo!

Se avete perso i primi sette appuntamenti potete trovarli qui:

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Buona lettura!

LA SFERA MAGICA

CAPITOLO OTTO

Michele cercò di pensare al volto di sua madre. Non lo ricordava, naturalmente, ma cercò disperatamente nella sua mente, frugando in ogni angolo, desiderando ardentemente di ricordare quel volto. Il cassetto cedette leggermente. Nella sua mente si formò la sagoma di un volto ovale, che però rimaneva in ombra; non riusciva a vedere i particolari del viso, ma ora vedeva i capelli, lunghi e biondi, sciolti sulle spalle. Piano piano, il cassetto si stava aprendo. Finalmente, con un ultimo strattone, si spalancò e lasciò scivolare fuori decine e decine di drappi rosa e neri, che investirono Michele, rovesciandolo a terra, dove rimase svenuto per alcuni secondi. Piano piano, riprese conoscenza. Ora ricordava. Ricordava tutto. Ma la cosa più stupefacente era che intorno a sé vedeva volti nuovi, mai visti prima. Erano molto sfocati, quasi si trattasse di un sogno. Erano forse dei ricordi? No. Non poteva ricordare il volto di Daniel: non lo aveva mai visto.

“Io… ci vedo!”, esclamò, alzandosi, aiutato dall’amico.

“Ci vedo!”, ripeté, felice.

“Evidentemente, dopo l’incidente, forse per la paura, forse per la perdita della madre, Michele s’è chiuso in se stesso, cancellando tutti i suoi ricordi precedenti, e arrivando persino a perdere la vista. Ritrovando i ricordi, ora, ha ripreso a vederci”. La principessa sorrideva loro, contenta.

“Ma ora non perdete altro tempo! C’è gente che aspetta i propri ricordi!”, continuò poi.

I tre bambini, accompagnati dal fedele gatto, uscirono dalla baita e tornarono a Brescia, alla villa di Michele, dove la governante stava ancora dormendo della grossa.

“Siete pronti?”, chiese Michele, dopo aver raggiunto la stanza dei ricordi.

“Sì!”

“Allora… via!”

Tutti e tre i bambini cominciarono ad aprire le gabbie, lasciando uscire i ricordi.

“Ora non li vedo più”, constatò Michele, guardando fuori dalla finestra aperta, dove probabilmente i ricordi stavano volando per raggiungere i legittimi proprietari.

“Non ne hai più bisogno. Ora hai anche tu dei bei ricordi, solo tuoi, da rievocare quando ti pare”.

“Tornerete a trovarmi?”

“Certo! Te lo prometto. Ora però dobbiamo andare. A presto, Michele”.

Daniel, Greta e Cronch risalirono sulla slitta e ripartirono alla volta del solito vicolo, dove Daniel capovolse di nuovo la sfera.

“Per l’ultima volta”, pensò.

La capanna con i tre alberi era davanti a loro, illuminata come sempre. Dalla porta aperta uscì la principessa, che li raggiunse, raggiante.

“Siete stati bravissimi! Ogni ricordo è tornato al proprio posto”, si complimentò con loro.

“Ora possiamo restare, non è vero?”, chiese speranzoso Daniel.

“Restare qui?” 

La principessa li guardò, stupita.

“Non abbiamo più un posto dove andare… nessuno che si occupi di noi. Per questo speravamo di restare qui per sempre”.

“Mi dispiace, Daniel, ma questo non è possibile: tu sei un custode dei ricordi, ora, e devi stare sulla Terra, a controllare che tutto proceda per il meglio”.

“Ma…”

“Non ci sono ma, Daniel. Non puoi restare. Il tuo posto non è qui”, 

Il tono della principessa era addolorato, ma fermo, e Daniel capì che non c’era nulla da fare.

“Vieni, Greta. Torniamo sulla Terra”, sussurrò mestamente.

“Aspetta un momento, Daniel. Ho qualcosa per te”, disse la principessa. Tese la mano, che conteneva un fazzoletto rosa, un ricordo felice, che diede a Daniel.

Come lo toccò, lui vide il volto di sua madre, ma molto più giovane. Poi vide se stesso e i suoi fratelli e capì che quelli non erano i suoi ricordi. Erano i ricordi di qualcun altro, qualcuno di molto vicino alla sua famiglia: i ricordi di suo padre.

Daniel se li strinse al petto, poi aprì una tasca e ce li infilò, chiudendo la cerniera per non perderli.

“Grazie”, disse, poi salutò la principessa e, seguito da Greta, uscì dalla baita. L’ultimo saluto fu per Cronch.

“Ciao gattone. Ci rivedremo presto, spero”.

“Forse prima di quanto tu non creda, ragazzo. Vieni a trovarci”.

“D’accordo. Lo farò”.

Daniel girò la sfera e poco dopo si ritrovarono a Brescia, nello squallido vicolo dove tutto era incominciato.

“Rieccoci qui, al punto di partenza. Se non fosse per questa sfera, potrei pensare che si è trattato solo di un sogno”.

“Già”.

“Be’… è la sera della vigilia di Natale e non abbiamo neppure un tetto sulla testa e un piatto di minestra. Bell’affare!” 

La pancia di Daniel emise un brontolio profondo, come a sottolineare le sue parole. Greta tolse dalla tasca qualche barretta di cioccolato e la porse a Daniel.

“Risparmiamone un po’ per domani: i negozi saranno chiusi per due giorni”.

Lei annuì, masticando in silenzio la sua barretta.

Un fruscio alle loro spalle li fece voltare. Si ritrovarono di fronte la vecchietta che aveva donato loro la sfera.

“Venite con me”, li invitò, asciutta.

I bambini si fissarono un attimo negli occhi, dubbiosi. Dovevano fidarsi di lei? Dopotutto il suo incontro non aveva procurato loro altro che guai.

“Be’… non è che abbiamo poi molto da perderci, no?”, chiese Daniel, rivolto alla bambina. Greta annuì. Lui la prese per mano, poi iniziarono a seguire la vecchia, arrancando nella neve sempre più alta. Evidentemente gli spalaneve non avevano neppure preso in considerazione l’idea di ripulire quel vicolo malfamato, oppure il giorno della vigilia di Natale avevano semplicemente pensato di restarsene a casa a festeggiare con la propria famiglia.

Seguirono l’anziana signora fino in centro, dove le sfarzose luci natalizie splendevano attorno alle insegne dei negozi, luccicavano formando disegni e stelle sopra le strade, occhieggiavano dalle finestre illuminate e sui balconi. I pochi passanti infreddoliti si stringevano nei cappotti ed entravano e uscivano dai bar, chiacchierando allegramente e producendo sbuffi di fiato biancastro che aleggiava nell’aria per qualche secondo, prima di svanire. Nessuno badava a loro, a due bambini trasandati e affamati, con le mani intirizzite nascoste nelle tasche, e a una vecchia signora dal cappotto rattoppato e liso e dalla lunga sciarpa arancione che le ricadeva su un fianco, che camminavano in silenzio nella notte, diretti chissà dove. Attraverso strade e vicoli, la vecchia signora li accompagnò fino a una clinica. Qui si fermò, attendendo che i bambini, rimasti un po’ indietro, la raggiungessero. Entrarono insieme nel grande atrio illuminato e percorsero un lungo corridoio. Stranamente, nessuno li fermò nell’ingresso, nonostante l’orario delle visite fosse finito da un pezzo. Salirono su un ascensore e scesero poco dopo a un piano diverso. Qui, la donna li accompagnò fin davanti alla porta di una stanza. Poi si voltò verso i bambini.

Fu allora che Daniel la guardò negli occhi, alla flebile luce accesa nel corridoio, e ricordò dove aveva già visto quello sguardo.

“Tu sei la bambina del quadro!”, esclamò.

“Io sono stata una custode dei ricordi, Daniel”, rispose lei, senza scomporsi.

“Chi era il bambino che era con te?”

“Questo non te lo posso dire. Ora devo andare. Oltre questa porta troverai il tuo futuro. Addio, Daniel”.

Fece per andarsene, ma lui la fermò:

“Aspetta… dimmi almeno il tuo nome”.

“Mi chiamo Adalmira”.

“Addio Adalmira”, la salutò lui.

I passi dell’anziana signora risuonarono per il corridoio vuoto mentre si allontanava. Daniel tornò a fissare la porta. Non sapeva cosa ci fosse al di là, ma sentiva di non avere paura. Appoggiò la mano sulla maniglia, poi si rese conto che il rumore dei passi era improvvisamente cessato. Si voltò indietro: la donna era sparita, ma lui sorrise fra sé e sé. Ormai stava facendo l’abitudine alle stranezze…

Abbassò la maniglia e aprì la porta, poi lui e Greta scivolarono dentro. Nella stanzetta c’era un solo letto, occupato da un paziente, un uomo semiaddormentato che russava leggermente. Daniel si avvicinò piano e lo guardò meglio: ora non aveva più dubbi.

“Papà”, sussurrò. L’uomo aprì gli occhi e lo fissò stupito.

“Chi sei?”, gli chiese. 

Daniel aprì la cerniera dalla tasca e lasciò che i ricordi uscissero e raggiunsero suo padre. L’uomo sgranò gli occhi, sempre più stupito, poi urlò di gioia.

“Daniel!” 

Abbracciò suo figlio e lo tenne stretto a lungo, ancora incredulo.

“Daniel! Come mi hai trovato?”

“È una storia lunga, papà. Ti credevamo morto”.

“Sono stato colpito alla testa. Per fortuna un convoglio italiano mi ha raccolto e consegnato alla Croce Rossa. Sono stato trasportato in Italia e operato. Poi sono rimasto più di tre anni in coma e, quando mi sono svegliato, non ricordavo assolutamente nulla, neppure il mio nome. Ma quando ti ho rivisto… di colpo mi è tornato in mente tutto… ogni cosa”.

Daniel annuì, sorridendo.

“Dobbiamo tornare da tua madre e dai tuoi fratelli, Daniel. Sono già in contatto con un’assistente sociale, che sta facendo le pratiche per farmi rimpatriare. L’unico problema era che non avevo un posto dove andare. Ora ce l’ho. Casa nostra! E tu verrai con me”.

Daniel si voltò verso Greta, che fino a quel momento si era tenuta in disparte, in silenzio.

“Lei è mia amica. Si chiama Greta, è albanese come noi e non ha nessuno al mondo, tranne me. Possiamo portarla con noi?”

“Credo proprio che sia possibile, Daniel. Vedrai, non la abbandoneremo. Tua madre sarà contenta di ospitarla”.

Daniel abbracciò ancora suo padre, felice. Le cose si stavano mettendo al meglio anche per loro, finalmente.

“Papà”, chiese “non hai mai conosciuto una donna di nome Adalmira?”

“Adalmira? No, non credo…”

Corrugò la fronte, cercando di ricordare.

“Perché me lo chiedi?”

“Be’, è stata lei a portarmi da te”, rispose evasivo Daniel.

“Ora che ci penso… tuo nonno deve avermi parlato di una bambina di nome Adalmira, ma era solo la protagonista di una leggenda… una strana storia di ricordi rubati da recuperare… ora non mi sovviene”.

Un largo sorriso si stampò sul viso di Daniel: ora sapeva chi era il bambino accanto ad Adalmira nel quadro appeso nella grotta della strega e sapeva anche perché Adalmira aveva scelto proprio lui per quella missione.

“Saprò seguire egregiamente le tue orme, nonno, te lo prometto”, sussurrò.

“Che cosa dici, Daniel?”

“Niente, papà. Sono solo felice, molto felice”.

“È la notte di Natale. Che ne dite di festeggiare? Ho alcune mele e dei panini che mi ha portato oggi un’infermiera molto gentile. Non è granché, ma se avete fame…”

“Fame? Tanta! Questo è un pranzo da re!”, esclamò Daniel, passando un panino a Greta.

“Sai papà, questo è davvero il Natale più bello della mia vita”.

Di fuori, la neve tornava a cadere, affondando la città nel silenzio e nel candore tipici delle notti nevose. Le luci delle auto illuminavano, lente e lontane, la strada che costeggiava l’ospedale. Una vecchia signora, con un cappotto rattoppato e una lunga sciarpa arancione, raggiunse la sua casetta in periferia ma, prima di aprire la porta, si voltò a guardare la notte e sussurrò fra sé e sé:

“Buon Natale, Daniel, e buona fortuna”.

Elena Ungini

Le fiamme di Pompei

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2 responses to ““La sfera magica – Capitolo otto” di Elena Ungini – Aspettando il Natale…

  1. Elena Ungini

    Grazie a voi per la collaborazione, ragazze. Siete state fantastiche! E, naturalmente, Buon Natale a tutti!

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